26Critico d’Arte
“Dies irae e altre storie”
Dopo aver resistito alla terapia d’urto talassemica di queste opere (da reiterati tzu-nami ad una sorta di dies irae in pieno oceano), il lettore qui si chiederà in che mare lombardo bagna i pennelli l’operatrice, lecchese purosangue, Ileana Della Matera. Rispondiamo subito che Ileana Della Matera ha residenza ed atelier a Colico ma il suo risiedere ha un’apertura di compasso mentale ed operativo che valica que’ rami dei laghi lombardi, le acque e le terre di Padania, per seguire le arti nelle grandi città italiane ed europee. Una pittrice sicuramente distinta dal segno e dal colore della Lombardia Alta, dove Lombardia alta non è l’Alta Lombardia, cioè solo una denominazione geografica tipica, un dimorare al di sopra del baricentro culturale chiamato Milano, ma è una tipologia di appartenenza stilistica, un professare una impressione-espressione-astrazione molto colta, alta, appunto, cioè evoluta, in quella stessa Lombardia che fu del Crippa e del Morlotti.
Questo, in linea di massima.
Ma la linea di massima non si addice a Ileana Della Matera, che va inscritta a quella ristrettissima schiera di operatori del colore e del segno difficilmente assorbibili in files, per evidenti ragioni di atipicità portamentale. Che la si voglia considerare una visitatrice di qualche non ancora del tutto attraversata frontiera astratta o la si voglia annettere d’ufficio al territorio espressionista e comunque figurale di extrema thule, l’esito non è comunque una “risalita al padre”, ad una appartenenza, ad uno schieramento precostituito. I sensori cromatici impressivi-espressivi e qualche volta “astrattivi” che Della Matera lascia nel suo passaggio dei molti agitati mari e delle lande le consentono di evitare segni ed orme di capostipiti, restando la pittrice su camminamenti “propri”, assumendo tonalità quasi sempre sulla scala bluatica, in una coralità cronomaterica pur nelle alinee armoniche del narrato romantico.
Ed è qui la pregnante unicità di Ileana Della Matera, il suo non appartenere, il non lasciarsi cooptare in alcun movimento. Una narrativa per gesti e timbri, per essenze (inquiete ed inquietanti acque di mare, terre e afrori d’Africa, volti familiari, storie di gabbiani), anzi, per essenzialità, prima segnate e dipinte con la mente e poi dipinte col gesto.
Artista pur giovane di età ma con un notevole back-ground esperienziale in fatto di ricerca sulle arti visive, è per scelta filosofica amante della poesia marina dai toni densi, corposi, materici. E proprio, a nostro sommesso parere, nel ciclo dedicato al mare si può “sentire” il segno ed il colore (quasi sempre di timbro grigio-bluatico), l’abbattersi “…grandioso dell’onde”, come un dies irae, direbbe il poeta.
Stresa 28.05.2006